“La letteratura, come tutta l'arte,
è la confessione che la vita non basta.”
— Fernando Pessoa


Racconti

Marco Calzolari Marco Calzolari

Magari l’anno prossimo

Per Natale Non Esco

Dalla recensione su La tela nera:

Un pugno di racconti che non spiegano, non celebrano, non consolano. Il Natale è lo scenario comune su cui si disegnano le storie di questa raccolta. Qui non si parla della festa religiosa o dei buoni sentimenti, ma di qualcosa che riguarda tutti. Di relazioni fra le persone. Il periodo dell’anno che catalizza i migliori e i peggiori sentimenti porta alle estreme conseguenze le trame di queste novelle e, proprio perché abusato, compromesso e mille volte ripercorso,diventa un’efficace lente di ingrandimento per le piccole e grandi distorsioni della vita reale, che meritano di essere narrate.



Non si tratta di racconti natalizi, la presenza del natale nella sua forma negativa è l’unico filo conduttore. Provocazioni, temi forti, conigli sordomuti, regali fuori dagli schemi, un pizzico d’ironia e tanta voglia di sperimentare.


Raccolta “Per Natale Non Esco”, pubblicata da Transeuropa nel dicembre 2008.
Prefazione di Davide Bregola.

Il libro è ormai esaurito e fuori catalogo.
Puoi leggere il racconto scaricandolo qui:

Magari l’anno prossimo (PDF)

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Quegli occhi

Un racconto pubblicato su Nazione Indiana, il giorno di San Valentino del 2008.

Ci misi dieci minuti a scegliere il lettino. La trascinavo per la mano, e lei si era tolta le scarpe perché sulla sabbia le si piantavano i tacchi. Passai il Bagno Milano, il Riviera e il Romeo. C’era poca gente, ma troppa luce. Il Bagno Florida era perfetto perché aveva una grande insegna vicino al bar che faceva ombra sulle prime file, vicino al mare. Mi fermai alla seconda fila dall’acqua, sul confine con l’altro bagno. Aprii l’ombrellone e tolsi la sabbia dal lettino, poi mi misi di fronte a lei. Lei guardava nel buio, in mezzo agli ombrelloni chiusi, e aveva un sorriso un po’ tirato. Guardai dove guardava lei e vidi un gruppo di ragazzini che probabilmente fumavano, stesi sui lettini di un bagno più avanti.
– Non ci vede nessuno, – le dissi.
Lei mi si appoggiò e piantò gli occhi dentro i miei: – E se anche ci vedono?
– Meglio per loro, – risposi.

Leggi il racconto sul sito di Nazione Indiana

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Il lascito

Un racconto scritto nel 2010 per una rivista che non esiste più.

L’amico immaginario di mio figlio si chiamava Giuseppe ed è morto ieri. È stato ricoverato all’ospedale per una settimana, poi ci ha lasciato.
Lo scorso sabato Filippo mi aveva detto che era malato, e che sembrava una cosa grave. Mi aveva anche detto che venerdì mattina, prima di entrare in classe, era andato all’ospedale per vedere come stava. Io ho chiamato la scuola e mi hanno confermato che mio figlio era entrato alle otto come tutti gli altri, e l’impiegata mi ha chiesto se andava tutto bene.
Sì – ho dovuto rispondere – è solo che ultimamente siamo un po’ incasinati con la separazione e le case e non vorremmo che nostro figlio facesse qualche stranezza.
– No no – mi fa lei con un sospiro, – tutto regolare.
Ho proposto a Filippo di andare insieme a trovare Giuseppe.
– Va bene – ha detto.
Così domenica mattina l’ho portato in ospedale. Era un po’ agitato.
– Andiamo a prendere un regalo al bar – gli ho proposto.
Abbiamo bevuto una spremuta e mangiato un cornetto. Ho comprato un giornale di auto e un Topolino per Giuseppe. Gli ho chiesto dove l’avevano ricoverato.
– Al quinto piano, in chirurgia.
– Ok, io ti aspetto qui e leggo il giornale.
Al terzo piano ci avevano ricoverato anche il nonno di Filippo, mio padre, quando morì di cancro ai polmoni. Filippo andava spesso a trovarlo, con sua madre. Poi restava anche quando arrivavo io e mi guardava mentre parlavo col dottore. Ogni tanto andava da solo al bar o alle macchinette.
Dopo dieci minuti Filippo è sceso, senza il Topolino.
– Allora?
– Sta molto male, non sanno se ce la farà, – ha detto senza guardarmi.
Siamo andati verso la macchina in silenzio. Sembrava più arrabbiato che triste, ma si toccava gli occhi.
Quando morì suo nonno non volle vedere il corpo e io non lo obbligai. Non c’era neanche il tempo di respirare e Filippo continuava a starmi appresso, così lo feci arrivare direttamente in chiesa insieme a due amici suoi. Quando il funerale iniziò dovetti andare a cercarlo e mi incazzai pure. Ma in effetti non gli avevo detto che doveva stare davanti con noi. La bara arrivò già chiusa perché l’avevamo fatta inchiodare in casa.

Ieri era di nuovo sabato. 
– Giuseppe è morto, – ha detto quando è tornato da scuola.
– Mi dispiace.
Abbiamo fatto colazione ascoltando la radio.
– Oggi pomeriggio c’è il funerale – ha detto.
– Ci vuoi andare?
– No.

Stamattina l’ho trovato già sveglio che faceva colazione guardando la tv. Mi ha chiesto di portarlo al cimitero. Mi sono vestito con la giacca e ci siamo andati. Io sono rimasto nel parcheggio e ho fumato una sigaretta. C’era molta gente che entrava e usciva, e tutti si salutavano con grandi strette di mano. Filippo è uscito con calma, con le mani in tasca, ha aperto la portiera e mi ha detto che sulla tomba del nonno c’erano i fiori tutti secchi.
– Hai ragione – gli ho detto, – andiamo a comprarli nuovi.

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